In Italia editori e comuni adottano “Squa”: un nuovo passo verso la scrittura inclusiva. Un fenomeno in crescita.
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Luigi Mouchot
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Non solo in Francia, la lingua è influenzata dalla scrittura inclusiva. “Schwa” è rappresentato graficamente dalla lettera “e”, ma capovolta, ed è proprio da lì che si comincia a parlarne in Italia. La storia inizia con il suo lavoro di fondazione sotto la penna della sociologa Vera Keno: femminile singolare. La sua idea è semplice: cercare di integrare l’identità della neutralità di genere nella lingua scritta e parlata.
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I comuni e le case editrici che hanno avuto successo con questa teoria hanno scelto di utilizzare questo grafema. È il caso, ad esempio, della piccola testata indipendente fiorentina “effequ”, la cui redazione è compatibile con la lotta per una scrittura inclusiva, che ha recentemente deciso di integrare schwa nelle sue pubblicazioni.
Squaw, una scelta strana
In italiano, “squa” è sia maschile (o al singolare e i al plurale alla fine delle parole) che femminile (al singolare, e al plurale). Termini comuni, attraverso questo segno neutro.
Ma perché “swa”? È una lettera dell’alfabeto fonetico che rappresenta un suono particolarmente diffuso in inglese e in italiano secondo l’IPA (International Phonetic Alphabet). Tuttavia, questa scelta fonetica è dovuta soprattutto a ragioni ideologiche: foneticamente, schwa incarna meglio ciò che la lettera inclusiva vuole imporre. Questa lettera rappresenta in realtà una vocale “media” il cui suono è equidistante da altre vocali esistenti. È questo carattere “medio” che, secondo Vera Keno, fa della “squaw” una nuova pioniera della scrittura inclusiva.
“Lingua incorporata” come percepibile quando parlata
Ma la “squa” non è stata l’unico strumento dei costruttori italiani di scrittura inclusiva. Notiamo l’uso di un asterisco (“cher*”) alla fine delle parole per indicare la neutralità di genere nei manifesti pubblicitari, come in alcuni documenti universitari. Tuttavia, secondo gli utenti di “squa”, quest’ultimo fornisce prospettive molto più ricche di un semplice *. Questo apre la strada a un “linguaggio contenuto” orale: schwa si pronuncia come la “a” inglese per “about” o la “u” per “survive”.
Squaw, senza conoscere un vero e proprio boom, ha naufragato in Italia. Alcune aziende l’hanno adottata molto rapidamente, sintomo della “rivoluzione culturale nel linguaggio” del sociologo. Ad esempio, questo è il caso del comune Castelfranco Emilia Che ha preso la decisione di inserirla nei suoi comunicati stampa ufficiali sui social network. Ma soprattutto negli ambienti universitari prevale la scrittura.
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Questa scorciatoia può ora essere utilizzata sulle tastiere degli iPhone dotati di iOS 15. Tuttavia, l’Accademia italiana è inflessibile: non si tratta di parlare di SWA nel regolamento ufficiale. Qui si allinea alle posizioni del suo omologo francese, il quale, ricordiamolo, La scrittura inclusiva assume un “rischio di morte”.