“L’aumento dei prezzi dei combustibili fossili significa che le entrate attuali della Russia sono molto più elevate rispetto a quelle degli anni precedenti, nonostante il volume inferiore delle esportazioni”, afferma un rapporto del Centro finlandese per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (CREA).
I prezzi del gas sono saliti ai livelli storici in Europa, mentre i prezzi del petrolio sono aumentati all’inizio della guerra per poi diminuire più recentemente.
Secondo gli autori, “le esportazioni di combustibili fossili hanno contribuito con circa 43 miliardi di euro al bilancio federale russo, contribuendo a finanziare i crimini di guerra in Ucraina”.
In questo periodo, il CREA stima che il principale importatore di combustibili fossili russi sia stata l’Unione Europea (per 85,1 miliardi di euro), seguita da Cina e Turchia.
L’Unione Europea ha deciso di imporre un divieto graduale alle sue importazioni di petrolio e prodotti petroliferi. Ha anche già terminato gli acquisti di carbone, ma il gas russo, da cui dipende fortemente, al momento non ne è interessato.
Tuttavia, il think tank ritiene che il divieto europeo sul carbone – attuato il 10 agosto – abbia dato i suoi frutti, poiché da allora le esportazioni russe sono scese al livello più basso dall’invasione dell’Ucraina. “La Russia non è riuscita a trovare altri acquirenti”, hanno scritto gli autori del rapporto.
D’altra parte, CREA ritiene che dovrebbero essere messe in atto regole “più forti” per impedire al petrolio russo di entrare nei mercati dove dovrebbe essere vietato.